No all’IRES per le autorità di sistema portuale
Nelle Commissioni Trasporti e Finanze alla Camera si è discussa la mia risoluzione per difendere i porti italiani. La Commissione europea sta infatti chiedendo che venga applicata alle Autorità di sistema portuale la tassa, IRES, che pagano le imprese, mentre invece in Italia le Autorità portuali sono enti pubblici, che amministrano beni demaniali, e pertanto non soggette a tassazione. Se la decisione della Commissione fosse applicata, tutti i nostri porti – i più importanti del Mediterraneo – diventerebbero meno competitivi, con gravissimi danni per il settore della logistica e per il mondo produttivo che importa materie prime ed esporta manufatti. È un tema estremamente rilevante per l’economia italiana, ma non è cool, i giornali non ne parlano e chi se ne occupa lo fa nel disinteresse. Sono convinto però che seguendo ogni giorno queste problematiche e risolvendole, possiamo dare un grande aiuto all’economia del nostro Paese.
Di seguito il mio intervento:
On. Colleghi, illustro brevemente la Risoluzione al nostro esame, molto simile a quella presentata dalla collega Paita, riguardante le osservazioni prodotte dalla Commissione Europea avente ad oggetto Aiuto di Stato S.A. 38399 (2018/E) -Tassazione dei porti in Italia su esenzione Autorità di Sistema Portuale dall’imposta sul reddito delle società. Nel rimandare al testo della Risoluzione espongo brevemente alcune considerazioni miranti a confutare le Osservazioni della Commissione UE affinché la stessa voglia riconsiderare gli orientamenti assunti.
1) Premesso che il Trattato di funzionamento dell’Unione Europea stabilisce che i Trattati lasciano “del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati Membri.”, di fatto legittimando l’assetto organizzativo dei porti del nostro Paese, al pari di quelli esistenti negli altri Paesi dell’Unione.
Nessuno può imporre alla Francia, alla Germania o all’Olanda di assumere il regime di proprietà esistente in Italia o in Belgio. Analogamente nessuno può imporre all’Italia di assumere il regime di proprietà della Spagna, dell’Olanda o del Belgio!
Come noto, in Italia i beni pubblici rientrano nella categoria giuridica della “Proprietà Pubblica” menzionata dall’art. 42 della Costituzione e sono i beni di cui si avvalgono le Pubbliche Amministrazioni per realizzare i propri fini istituzionali e, per questo motivo, sono sottoposti a un regime giuridico peculiare.
In particolare, il patrimonio pubblico si distingue in beni demaniali e beni patrimoniali.
L’articolo 822 del Codice Civile contiene un’elencazione tassativa dei beni demaniali, distinguendoli in beni demaniali “necessari” – che per qualità intrinseche, possono appartenere solo allo Stato o agli enti territoriali -, e in beni demaniali “eventuali o accidentali”, che possono essere di proprietà privata ma che, se appartengono a un ente territoriale, entrano a far parte del demanio.
Il Demanio Marittimo – di cui fanno parte, ai sensi dell’art. 822 C.C. e degli artt 28 e seguenti del Codice della navigazione, il lido del mare, la spiaggia, i porti e le rade, le lagune vive e morte, i canali utilizzabili per uso pubblico marittimo e infine le pertinenze del demanio marittimo – rientra tra i beni demaniali “necessari”.
Il Codice Civile disciplina il regime giuridico dei beni demaniali in maniera differente rispetto a quello dei beni di proprietà privata.
In particolare, ai sensi dell’art. 823 del C.C., i beni demaniali “sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano”.
Ne consegue che tali beni non possono formare oggetto di negozi traslativi o costitutivi di diritti reali, di diritti in favore di terzi, non sono sottoponibili a procedure civilistiche di espropriazione coattiva e non possono formare oggetto di usucapione.
Gli unici rapporti giuridici che possono costituirsi con soggetti privati presuppongono in Italia il ricorso allo strumento della concessione.
La Pubblica Amministrazione mantiene sul concessionario significativi poteri di indirizzo, controllo e vigilanza. A fronte di tali poteri di controllo, corrisponde un potere sostitutivo da parte della P.A., che può esercitare per garantire il pieno soddisfacimento dell’interesse pubblico all’esercizio dell’attività concessa, oltre alla facoltà sanzionatoria, in caso di inadempienze da parte del concessionario.
Coerentemente a tale impianto normativo, la disciplina del settore portuale, contenuta nella legge 84/94, dispone che le Autorità di Sistema Portuale, assegnano, ai sensi dell’art. 18, alle imprese l’utilizzazione degli spazi portuali in quanto funzionale allo svolgimento di funzioni pubblicistiche attinenti alle attività marittime e portuali e alla loro realizzazione e non già al perseguimento dell’interesse economico derivante dai relativi ricavi.
Non è, pertanto, rinvenibile, nella disciplina contenuta nella richiamata legge 84/94 l’esercizio di attività economica da parte delle Autorità di Sistema Portuale, dovendosi ritenere corretta l’esenzione di quest’ultime dall’imposta sul reddito delle società.
Nel contesto normativo sopra delineato, l’obiettivo della massima redditività degli spazi portuali dell’Ente Portuale deve, quindi, necessariamente soggiacere rispetto al perseguimento del superiore interesse pubblico oggetto della concessione.
In considerazione di quanto esposto, non è possibile assimilare i canoni concessori delle Autorità di Sistema Portuale a rendite di attività di locazione, come avviene nei Paesi, che, per effetto del diverso modello di governance di tipo Landlord hanseatico, puntano esclusivamente alla massima redditività economica degli spazi portuali di proprietà.
Nel nostro caso, invece, si tratta, piuttosto, di vere e proprie tasse funzionali all’esercizio delle funzioni pubblicistiche cui l’Autorità di Sistema Portuale è preposta.
2) Altro elemento da considerare è che il legislatore italiano ha mantenuto una netta separazione tra attività di regolazione e accesso alle attività di impresa portuale ed alle relative aree demaniali (da una parte) ed esercizio delle suddette attività economiche (dall’altra), in sintonia con la giurisprudenza della Corte di Giustizia e con il principio di sussidiarietà orizzontale. Tale puntuale e inequivoca separazione si rinviene nel comma 11 dell’art. 6 della L. 84/94, che vieta alle AdSP lo svolgimento – direttamente o tramite società partecipate – delle operazioni portuali (carico/scarico, trasbordo, deposito, movimentazione, ecc.) e delle attività ad esse connesse. Inoltre le AdSP non svolgono né possono svolgere i servizi tecnico-nautici, cioè pilotaggio, rimorchio, ormeggio e battellaggio, che sono disciplinati dall’art. 14 della L.84/94 e da norme del Codice della Navigazione e del Regolamento al Cod. Nav., né eseguono rifornimenti di carburanti alle navi ovvero altre forniture navali e neppure la raccolta di rifiuti. Questi enti assicurano nell’esclusivo interesse pubblico l’accesso non discriminatorio ai mercati delle operazioni e servizi portuali da parte di una pluralità di imprese, in regime di libera concorrenza tra loro e nel contempo assicurano trasparenza e imparzialità di amministrazione dei beni demaniali dello Stato. Conseguentemente le AdSP non sono soggette alle imposte sulle società, sia perché esse non sono società o imprese, sia perché, su un piano più sostanziale, le funzioni e attività poste in essere da tali soggetti sono quelle di una amministrazione dello Stato, legate da un rapporto organico con quest’ultimo. Del resto nei porti italiani non sede di AdSP le medesime funzioni “statali” vengono svolte dall’Autorità Marittima (Capitanerie di Porto-Guardia Costiera) difficilmente equiparabili a “imprese” che dovrebbero pagare le imposte a se stesse Stato.
- 3) Non si può sottacere che le Osservazioni della Commissione UE, in non pochi casi, sono frutto di equivoci, in altri di fraintendimenti e in altri di errori di valutazione sulle norme in vigore in Italia. Ne cito alcuni:
- a) La Commissione UE pare equivocare il modello di organizzazione e regolazione marcatamente pubblicistico della governance del sistema portuale italiano, che è diverso da quelli adottati da altri Stati membri, quali ad esempio Belgio, Francia, Olanda, Spagna. A nostro avviso le decisioni della Commissione riferite ai porti di detti Paesi non costituiscono precedenti idonei a dimostrare e soprattutto a confermare che le AdSP italiane svolgano attività economiche. Riteniamo che, in mancanza di una armonizzazione a livello unionale, la nozione di porto, che comprende tutti i numerosi soggetti privati e pubblici operanti nell’ambito portuale, non possa essere confusa ovvero ricompresa nel soggetto che regola le attività portuali e amministra soltanto un determinato compendio demaniale, talvolta non rilevante territorialmente ed economicamente a livello UE.
- b) Pare poi fuorviante richiamare, come fa la Commissione, sentenze, es. Aereoports de Paris e Leipizig Halle, non riguardanti il settore portuale, considerate le rilevanti diversità che caratterizzano i due comparti.
- c) Sembra altresì errata la pretesa della Commissione di considerare l’art. 107 TFUE in maniera indifferenziata per regimi fiscali assai diversi, da applicare per giunta a tutti i soggetti privati o pubblici ai quali gli Stati membri affidano la gestione dei porti. Si tenga poi conto che nell’ordinamento italiano gli investimenti pubblici nelle infrastrutture portuali rappresentano meri trasferimenti tra Amministrazioni Pubbliche per realizzare opere sul demanio dello Stato, che ad esso restano nella sua veste di proprietario; questa situazione riteniamo dimostri come non possa versarsi nel caso di integrazione dei requisiti di cui all’art. 107 TFUE.
- d) La nota (46) recita: «Inoltre l’articolo 16 della legge n. 84 del 1994 non esclude che le AdSP svolgono attività di pilotaggio, rifornimento di carburante, ormeggio, rimorchio e raccolta di rifiuti». Affermazioni che non corrispondono alla realtà; i predetti servizi sono disciplinati dall’articolo 14 della predetta legge e dalle norme del Codice della navigazione e sono soggetti alla vigilanza e al controllo delle capitanerie di porto-guardia costiera che dipendono dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
- d) Sulla nota (70) «quando esse stesse forniscono “servizi portuali” il che non è esplicitamente escluso dalla legge n. 84 del 1994, le AdSP possono poi entrare in concorrenza con altri fornitori di tali servizi che operano sul mercato». Anche in questo caso, a parte la genericità (non si indicano quali sarebbero tali servizi), le AdSP vigilano i servizi sulle parti comuni del porto che non possono, anche per motivi di sicurezza, essere affidati al mercato.
4) Nei giorni scorsi gran parte dei rappresentanti del cluster marittimo italiano hanno espresso l’auspicio affinché la Commissione UE riveda le proprie Osservazioni inviando alla Commissione precise e documentate memorie: ASSOPORTI, Organizzazioni Sindacali dei lavoratori dei trasporti CGIL – CISL – UIL, ASSITERMINAL, ANGOPI, ANCIP.
Pertanto è opportuno che il Governo resista con decisione e argomenti in modo dettagliato la posizione della Repubblica Italiana.
Nel presentare questo atto di indirizzo eravamo spinti dalla volontà di sensibilizzare l’intero Parlamento del rischio che il nostro sistema portuale sta correndo; auspichiamo che, al termine del dibattito e sentite le comunicazioni del Governo, le nostre Commissioni sappiano esprimere una posizione unitaria da trasmettere agli organismi comunitari: Parlamento Europeo, Commissione Europea, Commissione Trasporti del Parlamento europeo.
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