Il PD
“Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere” Mahatma Gandhi
Dobbiamo superare la logica delle vecchie appartenenze, che ha per troppo tempo frenato il PD, e costruire una nuova identità democratica.
Il PD deve porsi l’obiettivo di garantirsi il voto della popolazione di sinistra, ma al contempo deve saper rappresentare vasti settori della nostra comunità, conquistare consenso anche oltre i confini del proprio elettorato più tradizionale.
Significa “PD a vocazione maggioritaria”? Significa avere un partito che non disdegna alleanze, ma che gioca a tutto campo, che cerca di conquistare ampi strati di elettori sulla base di proposte chiare e innovative. Un PD che ritrova lo spirito costituente del progetto lanciato da Walter Veltroni al Lingotto il 27 giugno 2007.
Dobbiamo, in altri termini, fare il contrario di quanto il PD ha fatto alle politiche del febbraio 2013: la logica dell’”usato sicuro”, il ritorno allo stesso tipo di coalizione, alla stessa impostazione programmatica, finanche allo stesso nome “alleanza dei progressisti” sconfitta da Berlusconi nel 1994.
Il PD di Veltroni, nel 2008, conquistò 12 milioni di voti; nel 2013 siamo scesi a 8,6 milioni. Abbiamo perso più di un elettore su quattro[i]. Nella nostra Regione il PD è passato dai 885.000 voti alla Camera del 2008 ai 643.000 del 2013. Anche qui più di un elettore su quattro ci ha lasciato. Basta con il passato che soffoca il presente, occorre pensare a costruire il futuro, ADESSO.
Oggi il nostro partito è il primo partito nella scelta di voto di pensionati e dipendenti pubblici; ma è solo il terzo nel voto degli operai, dei lavoratori autonomi e dei liberi professionisti. Questo deve farci riflettere: la lontananza che si registra tra PD e mondo operaio, che è ben antecedente alle vicende dei contratti FIAT, ci indica in particolare che la nostra volontà di rappresentare innanzi tutto i ceti più deboli non riesce a passare.
Le nostre politiche non sono più capaci di conquistare il consenso dei mondi che noi pensiamo di rappresentare. Occorre prenderne atto e cambiare, capendo che il mondo economico è profondamente cambiato, che i lavoratori tutelati sindacalmente e normativamente sono ormai una minoranza, che le grandi fabbriche non ci sono quasi più, che ci sono aree di grande precarietà a cui dobbiamo guardare ed a cui dobbiamo essere capaci di dare risposte.
Oggi non ci sono più stabili blocchi sociali, contrapposti tra loro, da rappresentare. La società italiana è fluida, in costante mutamento. Dobbiamo essere capaci di leggere queste dinamiche, per governarle. Non cambia la missione della sinistra: combattere le disuguaglianze e tendere all’eguaglianza sostanziale di cui all’articolo 3, secondo comma, della Costituzione. Semplicemente devono cambiare le politiche con cui realizzare questo obiettivo.
Matteo Renzi ha indicato che il luogo della sinistra è sulla frontiera. La nostra frontiera sono i nuovi problemi della nostra comunità, le sofferenze che guardano alla politica chiedendo aiuto, le necessità di regolamentare i nuovi diritti e doveri che si creano in una società in forte evoluzione.
Oggi disponiamo di un grande tesoro: l’Albo degli elettori del centrosinistra. Tre milioni di persone, 165.000 solo in Piemonte, che sono venuti a votare alle primarie e hanno dichiarato di condividere i nostri valori. Questo tesoro lo abbiamo messo in cassaforte e mai utilizzato. Ma perché non chiedere loro cosa pensano delle nostre scelte? Perché non chiedere la loro disponibilità a partecipare attivamente al nostro lavoro su grandi temi? Perché non avviare consultazioni on line sui nostri programmi?
Cambiamo verso alla logica dei caminetti: questo è il PD OPEN. Offriamo ai nostri elettori spazi di sovranità e, al tempo stesso, responsabilizziamoli nelle scelte. In questo modo torniamo allo Statuto del PD, che all’articolo 1 dispone:
“Il PD è partito federale costituito da elettori e iscritti. Il PD affida alla partecipazione di tutti i suoi elettori le decisioni fondamentali che riguardano l’indirizzo politico, l’elezione delle più importanti cariche interne, la scelta delle candidature per le principali cariche istituzionali”.
La via era già stata tracciata. A noi oggi il compito di percorrerla. Così faremo capire che il PD non appartiene alla sua classe dirigente, ma ai suoi elettori. Affidiamo ad un team questa missione: aprire e tenere vivo il contatto con i 165.000 nostri elettori delle primarie, che devono diventare le nostre antenne e i nostri rappresentanti sul territorio, a fianco dei nostri circoli e dei nostri generosi militanti.
Utilizziamo le nuove tecnologie per informatizzare i nostri circoli. Usiamo la rete per dare loro informazioni tempestive su tutto quello che facciamo nel partito e nelle istituzioni, per formare i militanti, per aggiornare gli amministratori. Condividiamo le nostre migliori pratiche. Creiamo supporti multimediali per esportare le nostre iniziative, i nostri convegni, i nostri approfondimenti tematici anche nei circoli più lontani. Creiamo degli spazi di incontro pubblico sul modello degli Innovation cafè, dove sia possibile ascoltare dibattiti, confrontarsi con figure professionali diverse, un luogo accogliente dove si crei un’identità comunitaria, aperta all’innovazione ed alla creatività.
Le nostre sedi sono la vetrina del PD 2.0: dobbiamo ridefinirne il layout, creare una linea di comunicazione uniforme, cercare con i militanti di ampliarne gli orari di apertura, renderli un luogo in cui un normale cittadino possa entrare per chiedere quello che facciamo, per darci suggerimenti o anche solo per navigare in rete attraverso il wi-fi gratuito.
Diamo il debito riconoscimento ai nostri militanti: anche la campagna elettorale più innovativa e digitale degli ultimi anni, quella di Barack Obama, ha avuto la sua chiave di successo nelle migliaia di volontari che hanno bussato alle porte e hanno chiesto il voto ad uno ad uno.
In questo modo creeremo un partito aperto, che si confronta con l’esterno, che supera il vizio dell’autoreferenzialità, che attiva le intelligenze migliori della società per costruire le proprie politiche e che magari offra loro anche prospettive di governo. Un partito che getta ponti, non un reticolo di percorsi di carriere personali. Un partito i cui dirigenti sappiano pensare al futuro del Paese, più che al proprio. Un partito che smetta di dare lezioni alla gente e che sappia ascoltare le idee forti della nostra società.
Un partito capace di formare e selezionare personale politico, organizzando corsi di formazione, campus estivi e invernali, collaborando con gli atenei. Su questo il partito piemontese ha già fatto molto, ora la PD ACADEMY piemontese deve diventare l’eccellenza nazionale del PD.
Costruiamo un partito in cui contino di più i sindaci e gli amministratori locali, anche se ogni giorno — sommersi dal loro lavoro — non riescono a seguire i nostri congressi o a presidiare le nostre sedi. Il PD esprime migliaia di amministratori e sindaci: sono manager della loro comunità, ogni giorno capaci di fare miracoli. Gli amministatori locali sono i depositari delle speranze della propria comunità; utilizziamo al massimo questo patrimonio.
Costruiamo un PD non solo di palazzo, ma anche di strada. Per risolvere i problemi occorre essere eletti ed entrare nei palazzi del potere, dove si decide. Ma non dobbiamo dimenticarci di stare in mezzo alla gente, nei mercati, fuori dalle fabbriche, nei corridoi degli ospedali, sui treni con i pendolari: per ascoltarli, per condividere i loro problemi, per spiegare quello che noi stiamo facendo dentro le istituzioni per migliorare la loro vita.
Realizziamo un PD in equilibrio tra la provincia Torino, che rappresenta la metà del Piemonte, e le altre sette province, ciascuna delle quali ha una propria identità ed una propria particolarità. Dobbiamo garantire la rappresentanza di tutti questi territori, come è stato fatto bene nella scelta della delegazione parlamentare alle ultime politiche. Ogni comunità deve potersi sentire rappresentata e tutelata e ciò deve avvenire sia nella composizione degli organi decisionali del PD sia nella composizione dei gruppi consiliari, oltreché — ovviamente — nelle decisioni amministrative assunte dagli organi di governo.
Abbiamo una grossa forza, di cui non dobbiamo dimenticarci: il PD piemontese ha eletto 34 parlamentari nelle sue liste (11 deputati nel Piemonte 1, 10 deputati nel Piemonte 2, e 13 senatori). Sono tanti, hanno un significativo bagaglio di esperienze e di competenze, hanno passione, possono fare tanto per la nostra regione. Sta a noi chiamarli, valorizzarli, decidere con loro le battaglie da condurre. Divisi siamo irrilevanti, insieme siamo una forza.
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